domenica 6 ottobre 2013

Obsolescenza programmata. La data di scadenza dei nostri acquisti.

Arthur Miller in "Morte di commesso viaggiatore" dice che gli piacerebbe, almeno per una volta, possedere interamente qualcosa prima che si rompa. Si lamenta di dover sempre fare a gara con la discarica.
Willy Loman, il personaggio interpretato dalla star del film, è indubbiamente stufo della breve vita dei prodotti che compra, spesso pagati profumatamente.
Quello che il signor Loman non sapeva è che questa realtà ha un nome: "Obsolescenza programmata".

Il termine nasce precisamente nel 1932, partorito da Bernard London, quando pubblicò il libro "Ending the Depression Through Planned Obsolescence"  (Mettere fine alla depressione attraverso l'obsolescenza programmata). Il mediatore immobiliare newyorkese era convinto di aver trovato il modo di spingere i cittadini a incrementare sensibilmente i propri consumi, introducendo date di scadenza sui prodotti e l'obbligo normativo di consegnare questi prodotti, che sarebbero poi stati smaltiti dal Governo. I consumatori sarebbero quindi stati costretti a comprare, o meglio ricomprare, più spesso di quanto avrebbero fatto altrimenti.

Se il termine nasce negli anni '30 il fenomeno è di almeno un decennio più vecchio. Nel 1924 venne firmato il Cartello Phoebus, attraverso il quale i più grandi produttori di lampadine del mondo si accordavano per ridurre la vita della lampadina da 2500 ore a 1000 ore, considerate che gli ingegneri avevo progettato dei prototipi in grado di durare per ben 30000 ore. Alla base dell'iniziativa c'era la convinzione che una vita più breve del prodotto avrebbe aumentato l'acquisto dello stesso, il tutto avrebbe giovato alla crescita economica. Erano anche previste delle multe salate per chi non rispettava le regole di produzione.
La lampadina della caserma di Livermore
Una delle lampadine prodotte prima che i grandi dell'illuminazione si accordassero è ancora accesa in una caserma dei vigili del fuoco a Livemore, in California. Brilla dal 1901.

Dopo le lampadine furono le calze di nylon a essere etichettate come troppo resistenti. La stessa azienda chimica che inventò il materiale, la DuPont, incaricò gli stessi scienziati di renderlo meno resistente, in modo da produrre calze meno durature.

Oggi il principio dell'obsolescenza programmata regola i nostri consumi. La regista spagnola Cosima Dannoritzer, con il suo documentario "Comprar, tirar, comprar – La historia segreta de la obsolescencia programada" (Comprare, buttare, comprare – La storia segreta dell'obsolescenza programmata) racconta di Marcos: un ragazzo di Barcellona che decise di tentarle tutte per riparare la sua stampante bloccata, in barba a tutti i rivenditori che gli hanno consigliato di ricomprarla perché più conveniente. Marcos scopre un chip che tiene memoria del numero di stampe del macchinario e che lo blocca una volta raggiunto il limite massimo. Cercando nel web arriva a un programmatore russo, che ha messo online gratuitamente un programma in grado di resettare questo chip e permettergli di terminare la sua stampa.

Quando non ci sono chip a rendere inutilizzabili i nostri prodotti ci pensa l'accoppiata marketing - credito. La pubblicità ci spinge a comprare sempre l'ultimo modello di cellulare/borsa/macchina ecc ecc, il credito ci da i mezzi per comprarli ed è così che, secondo gli economisti, il Paese cresce.

"Comprar, tirar, comprar - La historia segreta de la
obsolescencia programada"
Ma qual'è l'altra faccia della medaglia? I rifiuti.
La Banca Mondiale nel 2012 ha rilevato che ogni giorno nelle aree urbane del mondo si producono 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti. Produciamo quasi 1,2 chilogrammi di immondizia al giorno a persona. Gran parte di questi rifiuti, soprattutto quelli tecnologici, vengono inviati nel sud del mondo sotto la falsa etichetta di "seconda mano".

Troppo facile arrendersi di fronte alle dinamiche di mercato. Dovremmo boicottare, almeno dove possibile, quei prodotti che non prevedono pezzi di ricambio. Fare sempre ricerche più approfondite prima di arrendersi al primo rivenditore che dichiarerà la morte della nostra stampante. Dovremmo fermarci un minuto in più a riflettere prima di acquistare uno smartphone senza batteria estraibile e dare uno sguardo alle alternative. Qualsiasi nonna sarebbe in grado di fare miracoli con un ago e una bobina di filo, anche riesumare il pantalone strappato e buttato nel secchio. Inoltre prima di decidere di cestinare un prodotto pensiamo a cos'altro possa diventare, attraverso un'intelligente e spesso artistica manovra di riciclo si possono creare cose incredibili.

Alcuni cittadini consapevoli e attivi, mossi anche dalla crisi economica, hanno dato vita ai Repair Café: luoghi dove artigiani, elettricisti, falegnami o sarti mettono la propria esperienza a disposizione di chi ha voglia di imparare ad aggiustare il proprio televisore/bicicletta/pantalone, e indirettamente il portafogli, facendo anche nuove amicizie. Ci sono Repair Café in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Canada, Stati Uniti e anche in Italia.

Se proprio non si è bravi con le riparazioni, ci si può rivolgere a rivenditori di prodotti di seconda mano o meglio ancora partecipare ai mercatini rionali.
Una pratica che si sta diffondendo negli ultimi tempi è anche quella del baratto. Un principio, quello dello scambio, che era andato in disuso.  C'è anche chi decide di regalare qualcosa che non usa più avvisando i potenziali interessati attraverso le pagine dei social network.

In Francia si dibatte intorno a un disegno di legge per la lotta contro l'obsolescenza programmata. Quando in Italia? Dipende da noi. Oggi la lotta politica si fa dalla corsia del supermercato.

Claudio

1 commento:

  1. ho trovato questo post molto interessante , sono favorevole al recycling e personalmente adoro reinventare oggetti o capi d'abbigliamento inutilizzati o immessi.
    Spero che iniziative come il Repair Cafè non siano più l'eccezione ma un appuntamento settimanale!
    in bocca al lupo baci ile

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