mercoledì 30 ottobre 2013

Mooncup: Love your Vagina

Signore & Signore! 


Sapete quanti assorbenti o tamponi userete durante la vostra vita? Tantissimi, circa 11000.

E sapete che fine fanno?! 
Cestino, bidone, spazzatura, e poi o nelle discariche o in mare.
Se pensate che sia necessario dare una svolta più ecosostenibile al ciclo mestruale state leggendo le righe giuste. 


Vi voglio parlare del Mooncup, un'invenzione tutta al femminile. Si tratta di una coppetta mestruale riutilizzabile, costituita in silicone ipoallergenico, priva di residui o coloranti tossici. 

Ciò che differenzia la Mooncup dagli assorbenti tradizionali non è solo la possibilità di riutilizzarla infinite volte, ma sopratutto il suo meccanismo: raccoglie invece di assorbire, evitando così la secchezza vaginale. 
Inoltre è dotata di un sistema di tacchette che permette di tenere sotto controllo le perdite mestruali.
Assorbe il triplo dei normali tamponi super-assorbenti e permette un risparmio non indifferente dato che ne basta comprare una sola e non avrete più bisogno di spendere soldi in “perdite” per diversi anni.
La Mooncup con la sua pratica custodia

Utilizzare il Mooncup in definitiva dovrebbe essere una di quelle pratiche di consumo a cui tutti dovrebbero convertirsi per dare un reale contributo, oltre che all'ambiente, anche al proprio portafoglio.



Di seguito riporto le opinioni di alcune giovani donne così da  darvi un’idea più concreta sull'utilizzo del Mooncup.



Claudio



Prodotti alternativi per la igiene mestruale sono poco conosciuti. Sapevo di donne che infeltriscono i tamponi o lavorano ai ferri gli assorbenti, ecc. ma non sono proprio delle alternative considerabili. 
È vero che usando i prodotti usa e getta si creano un sacco di rifiuti ogni mese, ma data la mancanza di alternative cosa vuoi fare?
Così pensavo fino ad un anno fa. Quando una mia amica per la prima volta mi ha parlato della coppetta mestruale, avevo dubbi… ma tanti.
L’idea mi faceva schifo, non potevo immaginare come poteva funzionare. E non pensavo facesse per me. Ma…questa mia amica mi ha messo la pulce nell’orecchio e mi sono informata su internet. In tutti i forum che trattano della coppetta le donne e le ragazze raccontano delle stesse reazioni: repulsione, ripugnanza, forse anche un po’ di paura ma quasi tutte, dopo aver superato queste emozioni negative all’inizio, si sono trovate benissimo e non potevano più immaginare di usare qualcos’altro, cioè i prodotti usa e getta.
Allora ho guardato un po’ i prezzi, le varie forme e colori e finalmente ho comprato una coppetta mestruale su internet. 
All’inizio spendi un po’ di più (tra i 20 e 30€) però poi per i successivi anni non devi più spendere niente e non inquini più tantissimo ogni mese. Poi ci sono tanti altri vantaggi, per esempio che si può trattenerla fino ad otto ore, che non causa secchezza e non viene sbiancata con prodotti chimici, come avviene invece per i tamponi, ecc…
Non dico che è la cosa giusta per tutti. Non lo raccomanderei per esempio a ragazze al primo ciclo mestruale. Devi essere un po’ più sicura del tuo corpo. Ad ogni modo mi auguro che la coppetta mestruale venga considerata come un’alternativa normale e non come una cosa assurda che usano solo le “fricchettone”

Constanze


Sono fortemente convinta che la Moon Cup sia uno degli acquisti più sensati che abbia mai fatto. Di solito la reazione a questa mia affermazione è di un iniziale sguardo sospettoso seguito da una mal celata diffidenza. Devo ammettere che è ancora abbastanza dura riuscire a convincere qualcuno dei benefici della Moon Cup a causa delle perplessità molto forti di chi non ne è assolutamente a conoscenza. Molto semplicemente trovo che sia estremamente pratica,  igienica e soprattutto comoda, tant'è che spesso dimentico anche di portarla. La preoccupazione di molte donne è che possa in qualche modo creare fastidi,  limitare i movimenti o addirittura causare danni.  Io la utilizzo da circa un anno e fino ad ora non ho riscontrato il minimo problema.Personalmente, la trovo addirittura l'alternativa migliore ai comuni assorbenti e oltre ad essere la scelta più ecologica mi consente anche un risparmio non indifferente.

Carmen

Per leggere altre testimonianze o per avere informazioni su dove acquistare potete dare uno sguardo al sito di Mooncup.

mercoledì 23 ottobre 2013

The American Nightmare

Dal 2007 siamo naufraghi in una crisi che neanche ci appartiene. E’ noto come l’origine dei problemi siano gli indebitamenti delle famiglie americane, bisognose di SUV e villini con piscina. La domanda da porsi è “PERCHE’?” Perché negli Stati Uniti i cittadini sono arrivati a contrarre così tanti debiti?

La cultura americana è fortemente materialista, tende a confondere la felicità con il possesso di beni e ricchezze. 
Il sociologo Stefano Bartolini parla di NEG (Negative Endogenous Growth, Crescita Endogena Negativa) come la causa del rapporto indirettamente proporzionale tra la crescita economica e quella relazionale. 
La nazione a stelle e strisce sembra essere stata costruita proprio su questo principio, da vari punti di vista: dalla politica all’urbanistica, dall’istruzione alla sanità.
The American Dream is over.


Immaginate la tipica location di un telefilm americano: quartiere residenziale, case di almeno due piani, prati verdi, piscina e macchina d’importazione tedesca sfoggiata nel vialetto. Si definisce quartiere a bassa densità. Questi bei quartieri sono una delle ragioni dell’indebolimento del tessuto relazionale delle città americane. Sono spesso molto lontani dai centri cittadini e dalle necessità quotidiane. Le reti di trasporti pubblici non vengono rese efficienti: essendo bassa la densità urbana ci sarà meno utenza rispetto alla capienza del mezzo, quindi il servizio viene ridotto. In realtà di utenza ce n’è tanta, ma raccolta in luoghi d’interesse diversi. Gli abitanti sono spinti a comprare più macchine, quindi il governo costruisce più strade ancora più grandi, così però investe meno nel trasposto pubblico che diventa ancora meno efficiente, dunque anche chi non può permetterselo è costretto a comprare un auto, allora tocca lavorare di più, però così non si ha più tempo da condividere con gli altri, dunque si lavora ancora di più. Mi gira la testa.

C’è da dire che il popolo degli hot-dog è lo stesso dei paragoni, per cui si sbircia il giardino del vicino che è inevitabilmente più verde. Quindi non basta comprare la macchina, è importante anche che sia più bella e costosa di quella del collega. Lo stesso discorso vale per le scarpe che indossa la modella della pubblicità.

In Europa gran parte delle città è caratterizzata da un centro urbano, in genere chiuso al traffico, che si stende a partire da ampie piazze, l’Agorà.
Le grandi strade americane sono invece pensate per le innumerevoli automobili che le intasano ogni giorno, non per due amici che intendono fare due chiacchiere passeggiando, per quello c’è la caffetteria dietro l’angolo.
Se riflettiamo su quanto si spende in media in una settimana per stare con gli altri ci rendiamo conto di quanto sia salato il “costo relazionale”. Dai nonni abbiamo imparato che esistono giochi da fare con un semplice sasso o con una corda. I genitori ci raccontano di sabato sera passati a casa con amici a ridere e ascoltare dischi.
Se penso a quanto spendo per passare del tempo con gli altri potrei decidere di farmi un bel bassethound di razza, nonostante la spesa d’acquisto, il veterinario e gli accessori vari probabilmente andrei a risparmiare un bel gruzzolo. Prendere un caffè al bar in piazza, andare a mangiare una pizza in trattoria, una birra al pub o un mojito in spiaggia. Stare con gli altri oggi non costa poco.
I luoghi relazionali tipici di una società non basata sui consumi, come parchi e piazze, vengono messi sempre più in ombra da: centri commerciali, palestre, beauty farms e discoteche.
E’ importante difendere, rispettare e potenziare quelli spazi che ci appartengono in quanto cittadini, per i quali non dobbiamo pagare nessun canone.

Il comun denominatore di tutti le problematiche di quell’affollata società è lavorare – guadagnare – comprare. Il paradosso sta nel fatto che lavorando così tanto non si ha più tempo per stare con gli altri il che spinge a lavorare più ancora. Risultato: la crescita economica.

Liberty Island, Lady Liberty, se la menano tanto sulla libertà ma in fondo non mi sembrano così free. 

La televisione offre ogni giorno un nemico della Libertà contro il quale i cittadini devono allearsi, il Governo sa bene come si guida un popolo. In strada si vedono tanti SUV con i vetri oscurati, telecamere puntate su ogni portone, antifurti, serrature e pistole in tasca. Il cittadino deve sempre sentirsi protetto dal Nemico della Nazione, il calcio della pistola in mano da una grande sicurezza. Si sente meno sicuro, invece, il ragazzino che si vede un pistola puntata in faccia dal compagno di banco, figlio di quello che si sentiva più sicuro con la pistola in tasta.
Slogan pubblicitario per gli zaini antiproiettile della Bulletblocker
La madre dell’altra ragazzina della classe decide allora di comprare uno zaino antiproiettile per l’incolumità della figlia. Pare che nel Paese di Lady Liberty se ne producano tanti di questi zaini e sembra che non siano manco brutti, ce ne sono di tutti i tipi sia per bambini che per bambine. Se qualche mamma o papà fosse interessato all’acquisto sul sito della Bulletblocker, se guardate in basso a destra c’è la specifica area prodotti “School Safety”

“Zaini antiproiettile per bambini”, solo a me suona strano?!

Dato che globalizzazione in fondo significa anche un po’ “americanizzazione” è bene che nel vecchio continente ci si guardi bene dal fare la stessa fine. Se non facciamo attenzione ci troveremo in concessionaria a guardare le auto con vetri antiproiettile in men che non si dica. L’alternativa c’è, siamo noi.

Voglio concludere questo pensiero con la voce di qualcun altro che ha trovato le parole giuste per spiegare la chiave del futuro 

Mai dubitare che un piccolo gruppo di cittadini consapevoli e attenti possa cambiare il Mondo: è sempre stato l’unico modo per farlo. 
Margaret Mead

Claudio

mercoledì 16 ottobre 2013

Guerrieri o Coglioni? Un artista contro il neo-stacanovismo nel tempo della crisi

Giulia
Chi non conosce l'ultima campagna pubblicitaria dell'Enel “Guerrieri”, lanciata per Enel dal colosso pubblicitario Saatchi&Saatchi, ce in questi giorni sta apparendo in ogni mezzo pubblicitario, Internet ovviamente incluso?
Siamo i guerrieri dei posti in piedi, siamo i guerrieri delle tangenziali, delle scartoffie, siamo i guerrieri del lavoro...ecc. ecc...vi risparmiamo il seguito che comunque, qualora siate interessati, potete vedere ed ascoltare qui

"Il lavoro non mi piace - non piace a nessuno - ma mi piace quello che c'è nel lavoro: la possibilità di trovare sé stessi." (Joseph Conrad, Cuore di tenebra, 1902)
Nella pubblicità il messaggio è chiaro: “lavora, consuma, muori”, tanto per usare uno slogan noto ai più, a cui aggiungerei “e già che ci sei ricordati di pagare pure la bolletta della luce”.
Claudio

Ho trovato semplicemente raccapricciante il fatto che in tempi di crisi e di precariato come quelli che stiamo attraversando oggigiorno, si possa solo pensare di far passare l'idea che l'importante sia lavorare a qualsiasi condizione pur di creare profitto, come se questo fosse il fine ultimo della vita di un uomo o di una donna; Oppure di trasformarsi in una specie di martiri del lavoro, kamikaze d'occidente, la cui missione è farsi esplodere di straordinari non pagati e orari disumani pur di risollevare il paese dalla crisi, lo stesso paese la cui classe politica non solo ha causato la crisi, ma adesso tenta di ricolmare il buco del debito pubblico con i risparmi dei suoi cittadini; o ancora di consumare prodotti dozzinali e di massa negli scaffali della grande distribuzione per risollevare l'economia di quelle aziende che, come del resto l'Enel e le sue centrali a carbone, distruggono ogni giorno il mondo in cui viviamo.
Il lavoro nobilita l'uomo”, diceva il proverbio, ma fino a che punto?

Samuela
Una gigantesca presa per il culo a mio avviso, alla quale per fortuna ha risposto l'indignazione di molti esponenti del mondo dell'arte e della comunicazione, fra i quali il mio preferito è stato senza dubbio Vincent Moro e la sua contro-campagna “NelQ”.
Moro mostra la realtà dei fatti: raffigura anche lui gente comune, lavoratori e lavoratrici, soltanto che non li definisce propriamente guerrieri, bensì “coglioni”. Ecco il messaggio dell'artista: nessuno qui ha neanche lontanamente voglia di immolarsi per la causa consumistica tanto meno per pagare “la bolletta più cara d'Europa”; e per piacere non prendeteci per fessi!
Alessandro
Dal sito si può scaricare un template per entrare a far parte della contro-campagna.
Noi ed alcuni amici ci siamo divertiti a fare da modelli, per non dire a fare i coxxxxni!
Se anche voi desiderate partecipare alla contro-campagna di NelQ firmata da Vincent Moro nel link qui, c'è anche la possibilità di scaricare l'apposito template e “coglionizzarsi”!


Link utili:  COGLIONI

Stefano
Stefano

domenica 6 ottobre 2013

Obsolescenza programmata. La data di scadenza dei nostri acquisti.

Arthur Miller in "Morte di commesso viaggiatore" dice che gli piacerebbe, almeno per una volta, possedere interamente qualcosa prima che si rompa. Si lamenta di dover sempre fare a gara con la discarica.
Willy Loman, il personaggio interpretato dalla star del film, è indubbiamente stufo della breve vita dei prodotti che compra, spesso pagati profumatamente.
Quello che il signor Loman non sapeva è che questa realtà ha un nome: "Obsolescenza programmata".

Il termine nasce precisamente nel 1932, partorito da Bernard London, quando pubblicò il libro "Ending the Depression Through Planned Obsolescence"  (Mettere fine alla depressione attraverso l'obsolescenza programmata). Il mediatore immobiliare newyorkese era convinto di aver trovato il modo di spingere i cittadini a incrementare sensibilmente i propri consumi, introducendo date di scadenza sui prodotti e l'obbligo normativo di consegnare questi prodotti, che sarebbero poi stati smaltiti dal Governo. I consumatori sarebbero quindi stati costretti a comprare, o meglio ricomprare, più spesso di quanto avrebbero fatto altrimenti.

Se il termine nasce negli anni '30 il fenomeno è di almeno un decennio più vecchio. Nel 1924 venne firmato il Cartello Phoebus, attraverso il quale i più grandi produttori di lampadine del mondo si accordavano per ridurre la vita della lampadina da 2500 ore a 1000 ore, considerate che gli ingegneri avevo progettato dei prototipi in grado di durare per ben 30000 ore. Alla base dell'iniziativa c'era la convinzione che una vita più breve del prodotto avrebbe aumentato l'acquisto dello stesso, il tutto avrebbe giovato alla crescita economica. Erano anche previste delle multe salate per chi non rispettava le regole di produzione.
La lampadina della caserma di Livermore
Una delle lampadine prodotte prima che i grandi dell'illuminazione si accordassero è ancora accesa in una caserma dei vigili del fuoco a Livemore, in California. Brilla dal 1901.

Dopo le lampadine furono le calze di nylon a essere etichettate come troppo resistenti. La stessa azienda chimica che inventò il materiale, la DuPont, incaricò gli stessi scienziati di renderlo meno resistente, in modo da produrre calze meno durature.

Oggi il principio dell'obsolescenza programmata regola i nostri consumi. La regista spagnola Cosima Dannoritzer, con il suo documentario "Comprar, tirar, comprar – La historia segreta de la obsolescencia programada" (Comprare, buttare, comprare – La storia segreta dell'obsolescenza programmata) racconta di Marcos: un ragazzo di Barcellona che decise di tentarle tutte per riparare la sua stampante bloccata, in barba a tutti i rivenditori che gli hanno consigliato di ricomprarla perché più conveniente. Marcos scopre un chip che tiene memoria del numero di stampe del macchinario e che lo blocca una volta raggiunto il limite massimo. Cercando nel web arriva a un programmatore russo, che ha messo online gratuitamente un programma in grado di resettare questo chip e permettergli di terminare la sua stampa.

Quando non ci sono chip a rendere inutilizzabili i nostri prodotti ci pensa l'accoppiata marketing - credito. La pubblicità ci spinge a comprare sempre l'ultimo modello di cellulare/borsa/macchina ecc ecc, il credito ci da i mezzi per comprarli ed è così che, secondo gli economisti, il Paese cresce.

"Comprar, tirar, comprar - La historia segreta de la
obsolescencia programada"
Ma qual'è l'altra faccia della medaglia? I rifiuti.
La Banca Mondiale nel 2012 ha rilevato che ogni giorno nelle aree urbane del mondo si producono 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti. Produciamo quasi 1,2 chilogrammi di immondizia al giorno a persona. Gran parte di questi rifiuti, soprattutto quelli tecnologici, vengono inviati nel sud del mondo sotto la falsa etichetta di "seconda mano".

Troppo facile arrendersi di fronte alle dinamiche di mercato. Dovremmo boicottare, almeno dove possibile, quei prodotti che non prevedono pezzi di ricambio. Fare sempre ricerche più approfondite prima di arrendersi al primo rivenditore che dichiarerà la morte della nostra stampante. Dovremmo fermarci un minuto in più a riflettere prima di acquistare uno smartphone senza batteria estraibile e dare uno sguardo alle alternative. Qualsiasi nonna sarebbe in grado di fare miracoli con un ago e una bobina di filo, anche riesumare il pantalone strappato e buttato nel secchio. Inoltre prima di decidere di cestinare un prodotto pensiamo a cos'altro possa diventare, attraverso un'intelligente e spesso artistica manovra di riciclo si possono creare cose incredibili.

Alcuni cittadini consapevoli e attivi, mossi anche dalla crisi economica, hanno dato vita ai Repair Café: luoghi dove artigiani, elettricisti, falegnami o sarti mettono la propria esperienza a disposizione di chi ha voglia di imparare ad aggiustare il proprio televisore/bicicletta/pantalone, e indirettamente il portafogli, facendo anche nuove amicizie. Ci sono Repair Café in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Canada, Stati Uniti e anche in Italia.

Se proprio non si è bravi con le riparazioni, ci si può rivolgere a rivenditori di prodotti di seconda mano o meglio ancora partecipare ai mercatini rionali.
Una pratica che si sta diffondendo negli ultimi tempi è anche quella del baratto. Un principio, quello dello scambio, che era andato in disuso.  C'è anche chi decide di regalare qualcosa che non usa più avvisando i potenziali interessati attraverso le pagine dei social network.

In Francia si dibatte intorno a un disegno di legge per la lotta contro l'obsolescenza programmata. Quando in Italia? Dipende da noi. Oggi la lotta politica si fa dalla corsia del supermercato.

Claudio

sabato 5 ottobre 2013

“The China Study” Come un broccolo potrebbe salvarci tutti dal cancro facendoci anche restare in forma.

Chi non capisce il cibo non può capire le malattie dell'uomo

Con questa celebre frase di Ippocrate si apre la vasta trattazione di “The China Study” in cui vengono scardinate a suon di dati statistici, rivelazioni scientifiche, riferimenti bibliografici, grafici e tabelle alcune fra le maggiori credenze in fatto di alimentazione:

-Le sostanze chimiche presenti nel cibo e nell'ambiente non sono le principali cause del cancro;

-I geni non determinano da soli la malattia ma funzionano solo se espressi e la nutrizione influisce nel determinare quali geni, buoni o cattivi, debbano essere espressi;

-Il controllo ossessivo dell'assunzione nella dieta di talune sostanze nutritive come colesterolo, grassi, carboidrati, colesterolo, acidi grassi omega-3 non darà come risultato una salute a lungo termine;

-Le vitamine sintetiche e gli integratori alimentari non forniscono una protezione a lungo termine dalle malattie;

-Medicinali e chirurgia danno soluzioni a breve termine alle patologie e spesso con scarsi benefici.

T. Colin Campbell Ph.D. , autore di questo best seller scritto a quattro mani con suo figlio Thomas M. Campbell II, ci spiega come patologie e nutrizione siano strettamente correlate molto più di come siamo stati abituati a credere, e di come una dieta basata sul consumo di cibi vegetali possa salvarci dalle più comuni malattie che  influenzano la nostra società del benessere.

Il Professor Campbell ha un curriculum vitae di tutto rispetto: professore emerito alla  Cornell University, dove insegna nutrizione e biochimica, ha lavorato per oltre vent'anni in varie commissioni di ricerca della National Accademy of Science collaborando alla stesura e allo sviluppo di politiche internazionali e nazionali sulla nutrizione e sulla salute.
Però senza ombra di dubbio il lavoro più sensazionale da lui condotto è stato il “Progetto Cina”, forse la più grande indagine epidemiologica di tutti i tempi avvenuta in collaborazione fra la Cornell University, l'Accademia cinese di medicina preventiva, l'Accademia cinese di scienze mediche e l'Università di Oxford, durata 27 anni e definita dal New York Time “il Grand Prix dell'epidemiologia..
Il Progetto Cina di cui lui è stato responsabile della ricerca e direttore USA, esamina la relazione tra cibo e le più comuni malattie che interessano i paesi industrializzati e la possibilità di ridurre il rischio di contrarre queste patologie o arrestare e invertire un loro sviluppo in corso attraverso l'alimentazione.

Ma perchè svolgere questa investigazione proprio in Cina?
Ai tempi del progetto in questione (la prima indagine è iniziata nel 1983, la seconda nel 1989) la Cina aveva una popolazione molto variegata in quanto a costumi e abitudini alimentari e allo stesso tempo molto stabile, cioè il cinese medio difficilmente cambiava il modo di vivere e di alimentarsi; Inoltre il governo cinese aveva a disposizione un'archivio dettagliato e molto attendibile di dati di morte e malattia su una popolazione maggiore di 800 milioni di persone. 
Non potevano coesistere condizioni più favorevoli ad uno studio epidemiologico destinato a passare alla storia!

Ecco in sintesi le scoperte in campo medico derivanti dal Progetto Cina a mio avviso più sensazionali:
-L'associazione fra le morti per cancro della mammella ed elevate assunzioni di grassi e prodotti animali, ad elevati livelli di colesterolo, estrogeni e testosterone nel sangue e a menarca precoce e menopausa tardiva;
-La relazione tra cancro al colon e bassa assunzione di fibre ed elevata di grassi;
-L'aumento dell'incidenza di cancro nelle diete ricche di carne.
-Come una consistente assunzione di calcio derivante da prodotti a base di latte può portare a fragilità ossee fratture osteoporotiche.
-Come estrogeni esogeni contenuti in carne e latticini possono aumentare i sintomi della sindrome premestruale, mentre diete ricche di vegetali assicurano alte assunzioni di magnesio, vitamina B6 e fitoestrogeni, che sembra siano in grado di ridurre i sintomi.
-L'obesità è più influenzata alla tipologia di alimento consumato piuttosto che alla quantità delle calorie assunte e alla quantità dell'esercizio fisico. Consumare frutta verdura legumi e cereali integrali può aiutarci a mantenerci in forma ed in salute.

In mia opinione ciò che appare davvero rivoluzionario è come Il Professor Campbell consideri ciascun alimento come un insieme di sostanze nutritive che interagiscono fra loro e con l'organismo; 
Questo semplice assunto è forse la chiave di volta di tutta la sua trattazione: da qui nasce la forte critica al “Riduzionismo” cioè alle teorie che in campo scientifico e nutrizionale tendono ad associare una singola sostanza nutritiva a un particolare alimento; Come dire per intenderci che consumare uova significhi essenzialmente assumere colesterolo.
Da qui origina l'attacco dell'autore alle famose quanto pericolose diete iperproteiche come la famigerata Atkins, o la South Beach;
Da qui la comprensione di come l'alimentazione debba essere quanto più variata e basata su sostanze di origine vegetale i quali forniscono tutte le sostanze di cui il nostro organismo ha bisogno, senza apportare i dannosi grassi, colesterolo e proteine di origine animale, il cui abuso è all'origine della maggior parte delle patologie diffuse nella nostra società industrializzata.

Quale dunque la ricetta per evitare cancro, infarto e patologie coronariche, diabete, malattie autoimmuni, obesità, patologie ossee, renali, oculari e cerebrali?
Semplice!Una dieta a base di frutta e verdura fresche, legumi e cereali integrali, nella quale si eviti il più possibile il consumo di uova, latte e carne ma anche di carboidrati semplici come quelli derivanti da prodotti da forno, farine raffinate e zuccheri contenuti in dolci e bibite gassate.
Non vi ricorda forse la cucina della nonna?O per lo meno quella della nonna prima che vivesse il boom economico?

Ora voglio condividere con voi alcune delle conclusioni alle quali sono arrivato dopo la lettura di questo interessantissimo saggio: per prima cosa ho riflettuto di come sia necessario che la medicina moderna assuma un approccio di tipo olistico nei confronti delle malattie.
É bene prima chiarire per chi non lo sappia cosa significhi approccio olistico: partiamo dal significato di “olistico” aggettivo che  deriva dal greco  ὅλος cioè, “intero, totale, tutto."( fatemi fare sfoggio della mia licenza classica per favore, mi resta quella o poco più).
Avere un approccio olistico dunque significa considerare più piani d'indagine e analizzare più cause e fattori determinanti, nel nostro caso, una patologia.
Per fortuna questo è il trend scientifico degli ultimi anni, mentre per tradizione la medicina occidentale ha da sempre avuto un'approccio analitico che mira esclusivamente a risolvere il sintomo piuttosto che a prevenire, bloccare e curare il male: viviamo schiavi di pillole, fiale, sciroppi, compresse e medicinali di ogni tipo.
Chi non possiede o semplicemente conosce qualcuno che non abbia a casa almeno una confezione di aspirina o di Oki?
Non sarebbe più conveniente intentare di avere uno stile di vita più sano?

Altra cosa sconvolgente sopra la quale ho riflettuto grazie a questo libro è di come le grandi lobby alimentari e farmaceutiche ci portino ad ammalarci per poi farci credere di curarci col fine di fare profitto: come si evince dall'ultimo capitolo di “The China Study”, è preoccupante quali e di che entità siano i legami fra ricerca e diffusione scientifica, politica e istutuzoni con gli interessi delle grandi aziende produttrici di snack, carni, latticini e uova, senza dimenticarci delle industrie farmaceutiche.
Un mercato che si nutre e si consolida sulla sofferenza di milioni di persone nel mondo occidentale.
Ecco che ancora una volta tocca fermarsi a riflettere e a rivedere il vero significato di benessere, che per fortuna oggigiorno viene sempre più rimesso in discussione.

Per chi voglia saperne di più consiglio vivamente di leggere The China Study.
Non spaventatevi per i molti grafici e tabelle, lo scrittore utilizza un linguaggio semplice e alla portata di tutti, forse a tratti romanzato!
Una buona lettura che ci insegna come vivere meglio semplicemente mangiando meglio! 

Stefano

Link utili:

The China Study
T. Colin Campbell Foundation
Whole

mercoledì 2 ottobre 2013

Un cammino in decrescita

Come mio primo articolo in questo blog voglio raccontarvi di una interessante quanto inaspettata “scoperta green” che ho fatto questa estate durante il Cammino di Santiago: vi racconto di come ho scoperto la cooperativa “Aurora de los caminos”, una cooperativa nata dalla necessità dei suoi membri di vivere una vita più sobria ed improntata su un consumo ed e una produzione più etica e su quello che credo personalmente manchi maggiormente nella nostra società: il contatto e la fiducia negli altri.

Per cominciare voglio parlarvi in breve del cammino di Santiago, col quale questa cooperativa e strettamente coinvolta e dal quale è ispirata.
Certo è che racchiudere in una definizione immediata e succinta cosa rappresenti il Cammino di Santiago per così tanti uomini e donne che ogni anno decidono di intraprenderlo è impresa difficile, specialmente se non si vuole rischiare di scadere nell'approssimazione.
Forse, per dare un'idea immediata sarebbe più facile focalizzarsi su quello che sopra ogni cosa accomuna questa moltitudine di fedi, culture e nazionalità tanto diverse: la “Ricerca”.
Posso affermare senza timore infatti che tutti i pellegrini ricercano “lungo” , e mai alla fine del cammino, un qualcosa che o hanno perso o hanno la necessità di trovare: la fede, un nuovo contatto con Dio, sé stessi, il proprio scopo su questa terra, un altro e nuovo percorso da intraprendere, un cambio radicale; gli oggetti della ricerca sono infiniti come le “strade del Signore”.

Questa ricerca non può senza dubbio non svolgersi se non su due piani d'azione: quello privato, introspettivo ed intimo in primo luogo, che si svolge durante le lunghe e silenziose ore trascorse in solitario lungo i sentieri del cammino; in secondo luogo quello del contatto con gli altri: ascoltare le tante storie di vita, i diversi punti di vista e le molteplici esperienze che i pellegrini sono soliti condividere lungo il tragitto o a fine giornata in uno dei tanti “Albergue do peregino” aiuta sicuramente ad avere una coscienza di se stessi maggiore.Un'esperienza dal canto mio immensa!

Ma ora vengo al dunque, ed inizio con il racconto di come ho conosciuto la cooperativa.Vi dirò solo che ero disperso nelle campagne dopo Dumbria, nella provincia de La Coruña, e con un dolore al ginocchio lancinante che quasi mi impediva di andare avanti.
Volevo raggiungere Mugìa sulla costa, ma la mia meta era troppo lontana e mancavano solo un paio di ore al tramonto.
Cosa fare? Accamparsi in un campo di mais ed aspettare l'alba per far riposare un poco le gambe oppure proseguire?

Mentre riflettevo su quale decisione prendere arrivai nel piccolo e desolato villaggio di Quitans, e proprio nel momento di massimo scoramento, proprio lì in fronte a me, apparve una croce luminosa che mi ridiede le speranze!
No, non ebbi una visione mistica, bensì si trattava della croce verde al neon di una farmacia.
Nel villaggio mancava persino il forno, immaginate quindi che apparizione inaspettata fu quella farmacia in mezzo a tanta desolazione!
La farmacista mi diede un Ibuprofene che in quel momento valeva più dell'oro e mi consigliò di andare a chiedere se ci fosse posto nel monastero de S. Martìn de Ozàn, pochi Km più in là.
Con gli ultimi sforzi mi trascinai al monastero dove mi aspettavo di essere accolto da qualche frate o qualche monaca, una celletta sobria ed essenziale e la possibilità di cucinarmi qualcosa.

Niente di più lontano dal mio immaginario!

Varcato il grande portale di legno del muraglione che circondava il monastero ad accogliermi nel giardino c'era una moltitudine di gente di tutti i tipi: uomini e donne, giovani e non più giovani, di tante nazionalità e con tante storie diverse, tutti riuniti in un meraviglioso contesto quale era quello del Monastero di San Martìn!
Ero finito nella Cooperativa Aurora de los Caminos.

Aurora de los Caminos nacque dall'idea comune dei soci di perseguire uno stile di vita che trovi nella sobrietà il reale benessere: riscoprire un contatto con la natura, seguire uno stile di vita etico, avere un contatto reale e diretto con gli altri esseri umani.
Ecco le misure per valutare il livello di benessere secondo i soci, tutto ciò che purtroppo spesso manca nella vita di tutti i giorni della maggior parte delle persone.

La storia della creazione della cooperativa risale a pochi anni fa: i soci fondatori ebbero la concessione delle strutture dell'ex monastero dalla curia locale e dal sacerdote della chiesa attigua, Don Ramon Insua, in cambio del mantenimento e del restauro delle strutture.
La missione della cooperativa che i sei membri, Soraya, Marta, Loreto, Hugo, Maria e Lucia, (N.B. Loreto è una donna, in spagnolo è un nome femminile!), hanno abbracciato è: 
"propiciar desde la sobriedad el entorno favorable para la práctica del aquí y ahora, de la aceptación, del perdón, de la meditación, del consumo responsable y consciente, los hábitos saludables y para el disfrute de la vida sencilla, servicial y de entrega; por Amor y Gratitud." 
(tr. Favorire a partire dalla sobrietà un ambiente favorevole per la pratica del quì e subito, della accettazione, del perdono, della meditazione, del consumo responsabile e cosciente, delle abitudini sane e per godere della vita semplice, ospitale e di dedizione; per Amore e Gratitudine.)

Davvero inusuale che non compaia nessun riferimento di tipo economico, non è vero?
Soraya, una dei sei membri della cooperativa spiega:
"fu molto difficile spiegare alla camera di commercio di La Coruña che la finalità erano più che altro etiche e non avevano nessun interesse a creare profitto se non in termini umani e personali."
Ma ad ogni modo le attività della cooperativa sono molteplici: Agricoltura biodinamica, Mantenimento dei locali del monastero, laboratori di musica, di cineforum, di yoga e chi-kung e sopratutto accoglienza dei pellegrini.

I principali attori sono i soci e i volontari: i soci collaborano per il sostentamento della cooperativa compartecipando tramite il proprio lavoro, sia all'interno sia all'esterno della struttura stessa, alle spese di mantenimento e al sostentamento collettivo di tutti i soci.

Inoltre la cooperativa è aperta a chiunque voglia collaborare come volontario.
Tutti sono accettati, nessuno può essere rifiutato.I volontari possono fermarsi per cominciare tre giorni contribuendo con una somma indicativa di 5€ più ovviamente il proprio lavoro successivamente possono prolungare la propria permanenza di quindici giorni e infine, a seconda della disponibilità di posto e se i soci valutano utile il contributo apportato dal volontario, possono fermarsi fino a sei mesi.

C'è infatti chi ha deciso come Santi di fermarsi e collaborare con il suo lavoro e le sue conoscenze in campo agricolo e portare avanti il progetto di rendere la cooperativa autosufficiente dal punto di vista della produzione alimentare.
I soci infatti puntano a due scopi in questo senso: essere autosufficienti e produrre allo stesso tempo ispirandosi alla “agricoltura naturale” o “del non fare” di Masanobu Fukuoka.
Santi, ingegnere ritornato alla terra, spiega infatti che purtroppo le due cose non sono tuttora compatibili ma che ci si sta muovendo in quel senso per trovare un metodo che possa assicurare una produzione sufficiente a sfamare gli inquilini e gli ospiti del Monastero di San Martìn de Ozàn e allo stesso tempo a non sfruttare eccessivamente il terreno e le risorse ambientali. la sobrieda

Santi inoltre mi racconta di come abbia trovato nella cooperativa un modo di vivere a contatto con le altre persone dando liberamente e gratuitamente il proprio contributo e allo stesso tempo di fare quello che più gli piace: occuparsi della terra e governare gli animali.
Siamo su questa terra per dare più di quello che riceviamo, senza chiedere più di quello di cui necessitiamo per vivere dignitosamente”, questa è la filosofia di vita di Santi, questo è il principale motivo per il quale ha deciso di fermarsi nella cooperativa.

Ed infine ci sono i pellegrini, che si fermano a riposare lungo il cammino, e gli ospiti come Pedro Manuel che letteralmente mi racconta entusiasta di come sia piacevole passare i fine settimana nella cooperativa: cibo naturale e gustoso, contatto con la natura, tante persone sempre diverse da conoscere e con le quali dedicarsi alle varie attività come teatro e musica.
E sopratutto il prezzo: infatti sia gli ospiti che i pellegrini possono scegliere di donare liberamente quello che possono: ci sono delle somme di denaro consigliate ma ognuno può decidere di donare quello che può, quello che vuole, o addirittura contribuire col proprio lavoro.

Cooperative ed associazioni come questa non sono così inusuali come si potrebbe pensare mi spiega Soraya, una socia della cooperativa.
Il problema è che non ci sia un mezzo che le ponga in contatto e possa in questo modo far conoscere queste iniziative sparse in Spagna come negli altri paesi a tutti coloro che fossero interessati a partecipare o semplicemente vivere qualche giorno in maniera “slow”.

La mia personale esperienza è stata più che positiva: c'è chi può essere d'accordo o meno a vivere in questa maniera, ma sicuramente passare qualche giorno nella cooperativa mi ha davvero fatto apprezzare una maniera diversa di vivere il tempo libero;
Durante la mia permanenza mi sono chiesto “non sarebbe fantastico passare il tempo libero, i fine settimana o addirittura le vacanze in luoghi come questo?”
Conoscere ogni volta gente nuova e nuove storie di vita e allo stesso tempo godere di ciò di cui più si necessita: passare del tempo con altre persone godendo della buona compagnia, del buon cibo e della natura.

Inoltre non potrebbe forse essere una maniera alternativa per fare delle vacanze all'insegna dell'equosostenibilità e del relax? Perché stressarci in code chilometriche al casello autostradale per poi ritrovarci in luoghi di villeggiatura affollati, dozzinali e sopratutto costosi, quando potremmo passare anche semplicemente un solo fine settimana vicino casa nostra, spendendo poco e riscoprendo il reale significato delle vacanze?

Per concludere la mia opinione è che sviluppare un turismo in questo senso potrebbe essere davvero una soluzione per potersi permettere delle vacanze non solo accessibili per tutte le tasche ma sopratutto all'insegna della “slow life”.
Spero che questo mio racconto possa suggerire in questi tempi di crisi una buona idea per sviluppare un progetto simile a tutti coloro interessati nel diffondere un nuovo modello maggiormente etico e maggiormente umano di consumare e produrre.


Stefano

Link utili: Aurora de los Caminos

Alcune immagini:






martedì 1 ottobre 2013

Chiedimi se sono felice

Autoproduzione, biologico, energie rinnovabili, condivisione, relazione, riclico. Tutto questo è Descrescita Felice. Il principio base è rallentare la crescita economica per favorire una crescita delle relazioni, una crescita umana.
Il mito della crescita economica ha spinto l'uomo a dedicare al lavoro più tempo di quanto ne dedichi al resto delle cose che lo riguardano.
Purtroppo per lui, uno dei suoi bisogni fondamentali è quello relazionale. Quale animale sociale ha bisogno del resto del branco. Ha provato per tanto tempo a colmare i vuoti comprando cose, ma queste costano sempre di più, ormai deve lavorare tanto da non avere più una vita relazionale.

La Decrescita Felice è un movimento che si oppone agli assurdi principi di un'economia basata sulla crescita della produzione delle merci. Consumare meno per consumare meglio. Oggi più che mai il consumo rappresenta un'area esperenziale dove l'individuo, disorientato dall'individualità della società, realizza sé stesso.

Il PIL, indice della crescita economica, non è più rappresentativo del tasso di benessere. L'economista Easterlin ha dimostrato, attraverso la sua teoria del paradosso della felicità, come l'aumento di ricchezza sia parallelo all'aumento della felicità solo fino a un certo livello, oltre il quale le due variabili diventano inversamente proporzionali.
Abbiamo, dunque, bisogno di un nuovo indicatore del benessere. Il BES (Benessere Equo e Sostenibile) è un progetto sviluppato da CNEL e ISTAT, un nuovo indicatore basato sul principio che lo sviluppo della società vada valutato non solo in base a fattori economici, ma anche socio-ambientali e spostando l'attenzione dalla ricchezza alla distribuzione della ricchezza.
Sono 12 le dimensioni rilevate: salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione tempi di vita; benessere economico, relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; ricerca e innovazione, qualità dei servizi.
Leggendo il rapporto 2013 (scarica il pdf) si ha un'immagine ben dettagliata del nostro Paese. Ciò che ci interessa particolarmente in questa sede è come l'Italia sia uno dei Paesi OCSE con il più basso tasso di fiducia verso il prossimo. D'altra parte è vero anche che lo stesso Paese è caratterizzato da reti familiari molto forti, ma
"un Paese con un problema di scarsa fiducia tra i cittadini può incontrare maggiori difficoltà a creare le condizioni per una vita economica e sociale pienamente soddisfacente" (pag. 9 Rapporto BES 2013)
E' necessaria un'inversione di rotta, cambiare le nostre abitutidini e le nostre esigenze per vivere bene in una società nuova.

In un certo senso la crisi economica ci ha costretto in questo, c'è chi parla di "funzione maieutica". Abbiamo riscoperto l'orto nel giardino di casa e le cene con gli amici in terrazzo piuttosto che il ristorante alla moda. A causa dei continui aumenti della benzina siamo tornati in sella alle nostre biciclette, o abbiamo scoperto che viaggiare in macchina con gli altri è più divertente. "Usa e getta" è diventato "ricliclato", "mio e tuo" lasciano il posto a "sharing", le zucchine a dicembre sono state sostituite con gli i porri a settembre e i pomodori a giugno, comprati in qualche mercatino della terra sicuramente bio e a km0.


I nuovi consumatori (o post-consumatori, o political consumers, come preferite), stanno "lottando" per tutto questo, per istiuzionalizzare le nuove tendenze, che nate da sacrifici, hanno dato vita a "non nuove" buone abitutidini. Intendono riappropriarsi di ciò che l'economia e le aspirazioni di ricchezza ci hanno privato.

Claudio